
– La formazione e il background culturale di uno straniero non lo giustificano dinanzi a comportamenti che, per la legge italiana, restano reato –
La Cassazione (Cass. sent. n. 28492/2016 del 12.07. 2016) è tornata recentemente sulla spinosa questione se l’appartenenza ad una diversa cultura giustifichi o quantomeno renda meno grave la commissione di un reato.
I giudici di Cassazione hanno deciso che sono irrilevanti le diversità culturali inerenti alla concezione del rapporto coniugale all’interno dei reati di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale.
Gli studiosi parlano, in questi casi, di “reati culturalmente orientati”: tali sono quelle ipotesi in cui un cittadino straniero compie nel territorio italiano una attività astrattamente configurabile come reato nel nostro ordinamento, nell’esercizio di una facoltà o di un obbligo riconosciuti a lui dalla cultura dello stato di appartenenza. Condotte, in altri termini, che integrano un reato per il nostro ordinamento nonostante siano facoltizzate, se non addirittura imposte, dalla cultura o dalle leggi del paese di provenienza.
In particolare, nella decisione sopra menzionata, i giudici di piazza Cavour hanno confermato la ricostruzione effettuata dalla Corte d’Appello che, anche sulla base di pregresse denunce e sentenze a carico del marito imputato per fatti analoghi nei confronti della moglie, ha avvalorato le dichiarazioni di quest’ultima in merito al completo ed assoluto stato di soggezione fisica e morale nel quale era stata ridotta a causa del comportamento aggressivo del marito.
La donna, infatti, era stata valutata incapace di opporsi alle gravi violenze e vessazioni del marito che si ripetevano da anni.
La Corte di Cassazione ha osservato e ribadito che, di fronte ad una condotta criminosa avente ad oggetto un bene fondamentale come quello della libertà sessuale, non rilevano le diversità culturali che concepiscono il rapporto coniugale in modo diverso dal nostro.
Infatti viene sottolineato dalla Cassazione che i diritti fondamentali che riguardano la persona umana non possono subire sacrifici e limitazioni da parte di logiche culturali e/o sociali: in caso contrario si avrebbe violazione del principio di obbligatorietà della legge penale (Art. 3 cod. pen.).
Molto spesso la questione veniva affrontata dai Tribunali in modo diverso: c’è chi assolveva l’imputato di maltrattamenti in famiglia o di violenza sessuale perché riconosceva nella diversa cultura l’esercizio di un diritto; chi assolveva ritenendo che l’imputato non fosse colpevole, in quanto non capace di comprendere la gravità delle azioni commesse; chi, al contrario, condannava lo straniero ma gli applicava una pena ridotta proprio in virtù del fatto che lo stesso non potesse capire fino in fondo quanto avesse commesso e, di conseguenza, la pena intera non sarebbe servita per rieducarlo.
In pratica, il tema è molto caldo, soprattutto in questi ultimi anni dove l’Italia è protagonista indiscussa di grandi flussi immigratori nel proprio territorio, in assenza di una matura politica culturale di integrazione.
La Cassazione, tuttavia, dà una risposta precisa: i diritti fondamentali della persona, come la integrità fisica e morale, non possono essere sacrificati in alcun modo.
Fonte: Vincenzo Di Ciò da http://www.laleggepertutti.it